Maurizio Benetti è nato nel 1946 a Venezia sull'Isola della Giudecca. Risiede attualmente in Friuli nel paese di Porcia. Egli alimenta con la pratica assidua la sua passione per la pittura e utilizza quanto appreso negli anni della sua formazione, alla Giudecca a contatto con quei Maestri che con umiltà pari alla loro grandezza dipingevano per ore all'aperto intenti a ritrarre gli antichi fasti della città dei Dogi.
nel multiforme repertorio della pittura di Maurizio Benetti questo dipinto fa parte di un ciclo che rappresenta l'aspetto più maturo della sua poetica. In genere gli artisti trovano scampo nella natura ed è infatti il contenuto naturalistico di questa tela che più mi ha convinto oltre al significato dualistico che essa sottende.
Accanto al grande omaggio che Benetti fa alla Dominante Venezia si sviluppa la fuga dai ceppi della prospettiva e della geometria per giungere ad una pittura originaria. Egli pare ricercare l'essenza stessa della pura espressione che travalica la forma e quindi lascia spazio all'istinto al gesto alla forza toccante del colore.
Qui si demarca un segno di svolta e la natura diviene necessariamente l'interlocutrice e l'ispiratrice dell'emotività dell'artista. Ecco che egli si confronta con il mistero del dualismo. Un aspetto molto esplorato dall'umano che cerca giustificazione della propria esistenza nei segni presenti nel mondo.
Il bene ed il male, il brutto ed il bello, la pace e la guerra, la volontà ed il nichilismo, il tutto ed il nulla, il giorno e la notte, il buio e la luce sono solo pochi esempi delle diatribe che hanno esaltato ed esaltano ancora molti animi. Sono questioni che poi hanno ricadute sulla religione, sulla politica e possono influenzare i destini di molti.
Con questo tema egli si confronta ma senza la prassi positivista e umanizzante. Egli adotta invece il linguaggio dell'istinto dell'umore della emotività del colore e della percezione viva sanguigna, forse romantica ma con la graffiante rabbia espressionista viva nel gesto se non nei contenuti.
Intravedo, nella vorticosa e disarticolata sequela semantica i riflessi del mare e dell'aria quando notte e giorno si equivalgono. Essi quindi sono paritetici pur nella loro asimmetria ponendo un dilemma equivalente sul quale non si ammette responso. L'equilibrio è quando ogni cosa è sospesa e forse è sospeso anche il senso morale. L'artista tuttavia cerca e vuole un senso morale ed è questo senso di sospensione che contrasta con il tutto che invece rotea verso la massima entropia, in quel subbuglio si trova l'artista; l'equilibrio è ciò contro cui egli s'imbatte periodicamente.